Il punto sull’ici relativa agli immobili utilizzati dagli enti ecclesiastici ed esentati dall’imposta per talune attività.
Questi ultimi tempi ci hanno fatto assistere ad una polemica avviata da quotidiani, radio, televisione sull’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili “concessa” dal Governo italiano agli immobili degli enti ecclesiastici.
L’azione di protesta ha tratto le mosse dall’emanazione del decreto legge n. 163 del 17 agosto 2005, che aveva disposto, in via interpretativa, l’esenzione dall’ici anche per gli “immobili utilizzati da enti ecclesiastici per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura pur svolte in forma commerciale se connesse ad attività di religione e di culto”.
Si è gridato allo scandalo e si è fatto un gran parlare di norma assolutamente privilegiaria, di disposizione confessionale, ristretta all’ambito della Chiesa Cattolica.
Tant’è che il Governo non se l’è sentita di proseguire l’iter parlamentare e, al momento della definitiva approvazione del decreto, ha ritirato il decreto stesso prima della votazione.
Potenza dei mezzi mediatici!
Senonchè, dopo una pausa di riflessione durata alcuni mesi, il legislatore ha emanato una legge, la numero 248 del 2 dicembre 2005, pubblicata nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 281 del 2 dicembre 2005, che contiene un’interpretazione autentica così formulata:
“L’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera ( assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'art. 16, lettera a), della L. 20 maggio 1985, n. 222), a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse”.
Viene così confermata la disposizione in vigore fin dal 1992, in forza della quale sono esenti dall’ICI gli immobili degli enti non commerciali (fra cui rientrano gli enti ecclesiastici) utilizzati in maniera esclusiva per una serie di attività, elencate nel dettaglio, di particolare rilevanza sociale. L’esenzione si applica anche nel caso in cui le predette attività siano considerate commerciali ai fini fiscali. Restano assoggettati all’ICI gli immobili degli enti non commerciali dati in locazione o destinati ad altre attività commerciali o utilizzati in modo promiscuo in parte per attività soggette ed in parte per attività esentate, a meno che non si operi una divisione catastale in unità immobiliari distinte.
Per le attività ricettive si ritiene che possano beneficiare dell’esenzione quelle strutture ricettive complementari destinate ad attività di rilevanza sociale, quali case dello studente per giovani disagiati, casa dell’operaio per persone in cerca di una dimora temporanea per causa di lavoro, case per esercizi spirituali, case di accoglienza per giovani o anziani in difficoltà, campi scuola autogestiti. Non si ritiene possano beneficiare dell’esenzione le attività alberghiere vere e proprie.
Come si accennava all’inizio, l’emanazione della norma è stata preceduta da titoli scandalistici apparsi sulle prime pagine di alcuni quotidiani, da dichiarazioni mediatiche roboanti, anche se infondate, da prese di posizione a favore o contro da parte di sostenitori e di oppositori il più delle volte disinformati.
Per fare un po’ di chiarezza sulla vicenda si ritiene opportuno offrire un quadro ordinato della questione, in modo da poter obiettare consapevolmente a quanti insistessero ancora sulla tesi del “regalo del Governo alla Chiesa”.
L’imposta comunale sugli immobili (I.C.I) è stata istituita con il Decreto Legislativo n. 504 del 30 dicembre 1992. In ossequio alla norma citata, l’imposta si applica a tutti gli immobili siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati e da chiunque posseduti a titolo di proprietà, di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie.
L’applicazione dell’imposta viene temperata da disposizioni agevolative a favore di alcuni immobili posseduti da soggetti specifici e/o vengano utilizzati per l’esercizio di attività di rilievo sociale, comunque meritevoli di interesse e di agevolazione.
Tralasciando le altre tipologie di esenzioni, per quanto ci riguarda, concentriamo la nostra attenzione sull’art. 7, primo comma, lett. i, del decreto legislativo citato che introduce l’esenzione dall’imposta ici per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) del TUIR ( i cosiddetti “enti non commerciali”, ossia gli enti ecclesiastici, gli enti del terzo settore, le onlus, le cooperative sociali, gli enti delle altre confessioni religiose e le fondazioni che non hanno scopo di lucro) destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, nonché per le attività di religione e di culto di cui all’art. 16, lett. a) , della L. 20 maggio 1985, numero 222.
Dalla lettura della norma, appare del tutto evidente come i requisiti necessari per godere dell’esenzione siano due. In primo luogo è necessario che ricorra l’elemento soggettivo dell’uso dell’immobile da parte di un ente non commerciale, tra cui sono pacificamente ricompresi gli enti ecclesiastici il cui fine, per legge, è quello di culto e religione.
In secondo luogo è necessario un elemento oggettivo, da individuarsi nell’impiego dell’immobile stesso esclusivamente per l’esercizio di una o più attività tassativamente indicate dalla norma citata che vengono ivi dettagliatamente elencate:
a) attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive;
b) attività di religione e di culto di cui all’art. 16, lett. a), della L. 222/1985 : esercizio del culto e cura delle anime, formazione del clero e dei religiosi, attività missionaria, catechesi, educazione cristiana.
Le attività di cui alla lett. a) riguardano tutti gli enti non commerciali, quindi anche gli enti ecclesiastici; le attività di cui alla lett. b) riguardano solo gli enti ecclesiastici.
Le attività di cui alla lett. a) possono assumere natura commerciale o non commerciale; mentre le attività di cui alla lett. b) non hanno natura commerciale.
La difficoltà interpretativa prende le mosse proprio dall’ ipotesi, diffusissima, che un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto svolga contemporaneamente sia attività istituzionali proprie, quindi attività di culto e religione, ed attività diverse da quelle di religione e di culto ( ex art. 16, lett. b), L. 222/1985).
Infatti molti ente ecclesiastici, oltre a svolgere attività di culto e religione, svolgono anche altre attività, quali case di cura, Istituti scolastici, pensionati per studenti e operai, case di riposo, case di accoglienza con conseguente ricezione di una retta.
Attività che, se compatibili e strumentali all’attività di culto e religione, hanno natura oggettivamente commerciale.
Dalla semplice lettura della norma emerge come la disposizione citata non faccia distinzione, ai fini dell’applicazione dell’agevolazione, tra le attività commerciali o non commerciali, limitandosi ad individuare “quali” attività siano meritevoli di agevolazione, indipendentemente dal “modo” (gratuito o corrispettivo) del loro svolgimento.
Questa la norma.
La Giurisprudenza però, ed in particolare la Cassazione ( vedi sentenza 4645 dell’8 marzo 2004), ne ha sovvertito l’interpretazione, introducendo un terzo requisito per beneficiare dell’agevolazione: perchè si abbia diritto all’esenzione occorre che si verifichino contemporaneamente entrambe le condizioni, quella soggettiva dell’appartenenza dell’immobile ad uno dei soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c) del TUIR e quello oggettivo della destinazione esclusiva dell’immobile allo svolgimento di una delle attività ritenute dal legislatore meritevoli di un trattamento fiscale di favore – elencate nella lett. i dell’art. 7, e , (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive) , ma occorre anche che queste attività siano svolte in forma di attività non commerciale.
Parecchi Comuni, prendendo le mosse da quello di Genova, che in occasione del Natale 2004 ha notificato centinaia di accertamenti ad altrettanti Istituti, hanno preso le mosse dalla nuova interpretazione per “tentare” il recupero di tributi, peraltro mai recuperati, con sperati effetti di rilevante gettito.
La sentenza citata, quindi, ha creato non poche difficoltà agli Istituti religiosi, soprattutto a quelli più deboli, per i quali l’interpretazione limitativa ed innovativa della norma e la grave implicazione economica avrebbe comportato la chiusura.
E’ stato necessario pertanto promuovere un’ iniziativa, a carattere nazionale, caldeggiata da tutta la Chiesa, volta a stimolare un intervento interpretativo e risolutore del legislatore.
Da questa iniziativa è scaturito l’intervento interpretativo definitivo del legislatore, come emendamento della Finanziaria 2006; interpretazione trasfusa nella legge numero 248 del 2 dicembre 2005:
“L’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'art. 16, lettera a), della L. 20 maggio 1985, n. 222), a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse”.
Per il momento, salvo futuri ripensamenti, il capitolo è chiuso.
Grazie all’intervento del legislatore, i numerosi ricorsi presentati a seguito degli accertamenti troveranno col Natale 2005 un prezioso dono: l’accoglimento.
(da www.cnec.it)
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