I BENI TEMPORALI PROPRIETA’ E POSSESSO

ICONTENUTO DELLA COMUNICAZIONE Questa comunicazione mira ad approfondire il significato dei due termini proprietà e possesso ed a misurarne la rispettiva valenza economico-giuridica. I due termini assumono significati con sfumature diverse a seconda della cultura in cui vengono usati. Se le sfumature, a volte anche sostanziali, possono essere moltissime, è da dire che entrambi i termini hanno un massimo comune divisore, la c.d. “situazione di dominio”, cioè entrambi fanno riferimento ad un diritto reale che una persona fisica o giuridica può esercitare nei confronti di un bene economico, cioè nei confronti di qualsiasi oggetto disponibile in quantità limitata, reperibile ed utile, quindi idoneo a soddisfare un bisogno. Il valore oggettivo del bene dipenderà, in un mercato libero, dai dinamismi domanda-offerta. I BENI TEMPORALILa legislazione canonica vigente non contiene indicazioni su quali siano i beni temporali, ma facendo distinzione tra i beni temporali, spirituali e misti, si deduce che sono da considerarsi “temporali” in diritto canonico quei beni che hanno la capacità di soddisfare i bisogni della Chiesa e che sono traducibili in categorie di tipo economico. Poiché tali beni sono attribuiti alla Chiesa, si parla di “Patrimonio ecclesiastico”.Il patrimonio della Chiesa in senso lato, è il complesso di beni temporali destinati al conseguimento degli scopi della Chiesa o dei singoli enti ecclesiastici che sono sottoposti alla speciale disciplina giuridica stabilita dal diritto canonico e da quello statuale. I beni provengono per la maggior parte da contribuzioni spontanee dei fedeli e dai quei pii lasciti sull’adempimento dei quali è tenuto vigilare l’ordinario; altri derivano dalle imposte ecclesiastiche e dalle tasse ecclesiastiche.La Chiesa ha necessità di beni per adempiere ai suoi fini, ma si tratta di una necessità non assoluta, poiché se per ipotesi la Chiesa fosse totalmente espropriata dai beni materiali, continuerebbe ad adempiere alla sua missione; d’altra parte, i beni qualificati ecclesiastici sono tali non per la finalità che essi svolgono ma per la titolarità a cui appartengono. Quindi è bene ecclesiastico una res che appartiene ad una persona giuridica canonica pubblica e che è capace di arrecare un soddisfacimento economicamente valutabile e di essere utilizzata per fini istituzionali della Chiesa. Al can. 1257 si afferma: “tutti i beni temporali appartenenti alla Chiesa universale, alla Sede Apostolica e alle altre persone giuridiche pubbliche nella Chiesa sono beni ecclesiastici”.La personalità giuridica è definita come quell’attribuzione formale conferita dal diritto stesso o dall’autorità competente che permette ad un insieme di persone e di cose (=res), di agire giuridicamente come soggetto unitario per raggiungere scopi attinenti opere di pietà, apostolato o carità, che trascendono il fine del singolo. Importante è la distinzione tra “persone giuridiche pubbliche” e “persone giuridiche private”: quelle pubbliche sono costituite dalla competente comunità ecclesiastica e perseguono a “nome della Chiesa” il compito loro affidato in vista del bene pubblico.A termini del can. 114 cjc le persone giuridiche pubbliche sono quelle sorte ad iniziativa della pubblica autorità e operanti nomine Ecclesiae . Esse acquistano la personalità giuridica in una duplice forma: o per espressa disposizione del diritto (ipso iure), o mediante uno speciale decreto della competente autorità. Gli Istituti Religiosi, le province e le singole case godono della personalità giuridica ipso iure (can. 634 cjc) Quelle “private” non sono costituite dall’autorità ecclesiastica e non agiscono in nome della Chiesa. La differenza sta nel fatto che quelle pubbliche sono titolari di beni ecclesiastici, quelle private no. Mentre i beni ecclesiastici sono individuati nei canoni del libro V del codice, quelli non ecclesiastici sono retti da statuti propri, tranne se non è disposto diversamente, statuti che devono essere approvati dalla competente autorità.Dato che l’argomento dei beni temporali della Chiesa non appartiene né alla funzione di insegnare, né a quella di santificare, il codice di diritto canonico dedica un libro autonomo a questa materia, il libro V. Alla base delle disposizioni del codice sui beni temporali stanno soprattutto i testi del Concilio Vaticano II. Secondo il can. 1254 “La Chiesa cattolica ha il diritto nativo, indipendentemente dal potere civile, di acquistare, possedere, amministrare ed alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri”. Tale potere di acquistare, possedere, amministrare deve esercitarsi per i fini propri della Chiesa. Si tratta di un diritto “nativo” cioè di un diritto che non viene concesso dal diritto umano alla Chiesa, ma riconosciuto o dichiarato nel proprio ordinamento giuridico. Il soggetto di questo diritto è la Chiesa Cattolica, Chiesa di Cristo, società organizzata e governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. L’essere soggetto di diritti comporta la personalità giuridica. La Chiesa cattolica come insieme di persone deve considerarsi “persona morale di diritto divino” (can. 113). La Chiesa cattolica è una persona giuridica pubblica che è riconosciuta tale dal proprio ordinamento giuridico. Il diritto divino è parte integrante dell’ordinamento giuridico della Chiesa anche quando non è canonizzato. FINALITA’ DEI BENI TEMPORALII beni ecclesiastici vanno impiegati per la sistemazione del culto divino, il dignitoso mantenimento del clero, il sostenimento delle opere di apostolato e carità, specialmente per i poveri. Le opere di carità come destinazione dei beni per i poveri appaiono già nell’Antico Testamento. L’uso e l’amministrazione dei beni non è solo una questione morale, ma è anche di ordine ecclesiologico-sacramentale, poiché i beni costituiscono una parte dell’aspetto esterno della Chiesa. IL RUOLO DEL ROMANO PONTEFICE SUI BENI TEMPORALILa proprietà dei beni appartiene alla persona giuridica che li ha legittimamente acquistati. Tale diritto di proprietà sta sotto la suprema autorità del Romano Pontefice (can. 1256). Questi esercita la suprema autorità e l’alto dominio , quindi la sovranità su tutti i beni delle persone giuridiche pubbliche e anche sui beni delle persone fisiche quando tali beni hanno una finalità ecclesiale. Questo “alto dominio”, non significa diritto di proprietà ma potere di orientare l’utilizzo dei beni per i fini propri della Chiesa. E’ anche supremo amministratore. Il successore di Pietro può anche limitare i diritti dei proprietari, emanare leggi o altre norme giuridiche riguardanti l’amministrazione dei beni della Chiesa. La facoltà del Papa di disporre dei beni comporta per esempio il diritto di autorizzare un’alienazione, di condonare dei debiti o di trasferire un patrimonio ecclesiastico. La suprema potestà del Papa si estende su tutti i beni destinati a scopi ecclesiali, anche

 

se il loro proprietario è una persona privata, mentre il potere di supremo amministratore e dispensatore, secondo il can. 1273, si riferisce solo ai beni delle persone giuridiche pubbliche. Il Romano Pontefice può esercitare tutti gli atti d’ordinaria e di straordinaria amministrazione che competono ad altri soggetti su beni ecclesiastici, qualunque sia la natura di tali beni e dovunque si trovino, con la particolarità che quando egli assume l’esercizio di questa potestà esclude, in ragione della supremazia, le facoltà dell’amministratore inferiore. Il Pontefice stando al centro dell’unità della Chiesa garantisce che l’uso dei beni ecclesiastici serva all’unico fine della Chiesa. POTERE DELL’ORDINARIO (O SUPERIORE MAGGIORE) NEI CONFRONTI DEI BENI TEMPORALIIn molti casi l’Ordinario al quale è soggetta la persona morale è l’Ordinario locale e, più concretamente, l’ Ordinario diocesano. Nel caso degli istituti di vita consacrata e società di vita apostolica di diritto pontificio clericali l’Ordinario è il Superiore maggiore (can. 134 § 1).L’ Ordinario rappresenta la diocesi (o la Famiglia Religiosa) e la titolarità dei diritti e degli obblighi dei beni ecclesiastici appartiene a questa, in quanto persona giuridica pubblica, ma la gestione del patrimonio è affidata all’ Ordinario insieme alla “Curia economica diocesana”. Il Romano Pontefice è il supremo amministratore di tutti i beni ecclesiastici. L’ Ordinario deve vigilare sull’amministrazione di tutti i beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche soggette. Ha un obbligo-diritto di vigilanza sull’amministrazione dei beni: ha il diritto di ricevere annualmente un rendiconto che gli consente di controllare l’andamento generale dell’uso dei beni da parte di ciascuna persona giuridica pubblica; ha il dovere di ordinare l’intero complesso dell’amministrazione dei beni dando speciali istruzioni.L’amministrazione mediata o intermedia spetta generalmente all’Ordinario al quale è soggetta la persona giuridica (can. 1276). Il CIC ‘17 (can. 1519) attribuiva questi poteri e facoltà all’ Ordinario del luogo per i beni situati sul suo territorio. Il Codice vigente ha adottato un criterio più flessibile ed adeguato alla realtà, sostituendo la ratio loci che vincolava beni concreti in base alla situazione spaziale, con la ratio subiectionis basata sulla sottomissione gerarchica del soggetto titolare dei beni al proprio Ordinario.Non vi è nessun canone che attribuisca all’Ordinario in modo generale la suprema amministrazione e gestione dei beni delle persone giuridiche a lui soggette, in modo simile a come invece dispone il can. 1273 a favore del Romano Pontefice. Però nel CIC vi sono attribuzioni di competenze, generali e specifiche, a favore dell’Ordinario, sufficienti per poter affermare che egli è anche amministratore dei beni ecclesiastici di tutte le persone morali affidate alla sua responsabilità.Innanzitutto il can. 1276 stabilisce le competenze generali dell’Ordinario: vigilanza ed organizzazione. La vigilanza ha come fine non solo di curare che siano osservati i principi generali dell’amministrazione di beni nella Chiesa (conservazione, evitare rischi e guadagni eccessivi, congruenza con i fini, adempimento di volontà, ecc.), ma tende anche, in maniera più immediata, a garantire l’adempimento delle leggi universali, particolari e peculiari che riguardano la gestione economica di ogni persona giuridica . Perciò l’Ordinario ha competenza regolamentare, per organizzare mediante istruzioni, l’amministrazione di beni nell’ambito della sua giurisdizione.Questi poteri includono l’intervento diretto dell’Ordinario in caso di negligenza degli amministratori immediati, ed anche la loro nomina se questa non è prevista altrimenti (can 1279). Spetta anche all’ Ordinario diocesano stabilire, in via suppletiva, quali atti debbano considerarsi o meno di ordinaria amministrazione per le persone a lui soggette (can 1281 § 2), facoltà che gli consente di riservarsi di intervenire negli atti come ritiene opportuno. La legge, la consuetudine o gli statuti possono inoltre attribuire all’Ordinario competenze più ampie.Oltre a queste facoltà generali gli Ordinari hanno competenze specifiche di controllo: autorizzare gli atti di amministrazione straordinaria (can 1281 § 1) e le liti nel foro civile (can 1288), ricevere il giuramento degli amministratori (can 1283, 1º). Spetta anche agli Ordinari dare il consenso per destinare gli utili (can 1284 § 2, 6º), ricevere il rendiconto annuale (can 1287 § 1), concedere licenza e stabilire requisiti per alcune alienazioni (can. 638 § 4 e 1292 § 2), decidere sul reclamo giudiziario contro le alienazioni illegittime (can 1296). L’Ordinario è inoltre l’esecutore di tutte le pie volontà (can 1301), ed esercita tutte le facoltà attribuitegli dal diritto per lo svolgimento di questo incarico (can. 1299-1310). L’ACQUISTO DEI BENI TEMPORALICan. 1259: “la Chiesa può acquistare beni alla stessa maniera di chiunque altro avendo la capacità acquisitiva”. Tutte le persone giuridiche, sia pubbliche che private hanno diritto di acquisire beni temporali per il raggiungimento dei loro fini. Tale diritto della Chiesa è un’estrinsecazione del diritto di libertà religiosa: le confessioni religiose hanno il diritto di possedere beni necessari per compiere la loro missione. L’acquisto può avvenire o tramite i mezzi legittimi, o chiedendo e ricevendo contributi da persone fisiche e istituzioni. La capacità di chiedere contributi è formalizzata dal can. 1260: “la Chiesa ha il diritto nativo di richiedere ai fedeli quanto le è necessario per le finalità sue proprie”. Un altro principio generale che sta alla base della normativa sugli acquisti è dato dal fatto che sovvenire alle necessità della Chiesa è un diritto e allo stesso tempo un dovere del fedele. Rientra nel diritto umano la libertà religiosa: ogni uomo ha il diritto a contribuire alle spese per attività riguardanti il culto (costruzione, manutenzione di edifici di culto…), al sostentamento dei ministri della sua confessione. Lo Stato da un lato non deve impedire ai cittadini l’esercizio di questa facoltà specifica del diritto di libertà religiosa e dall’altro rispettare le scelte fatte da loro entro i limiti del giusto ordine pubblico e del rispetto delle esigenze del bene comune. Non vengono però indicati i modi attraverso i quali i fedeli possono contribuire ad aiutare la Chiesa. DIRITTI DELLA CHIESA CIRCA I BENI: PROPRIETA’ E POSSESSOProprietà e possesso: linee generaliGeneralmente si riscontrano tre "situazioni di dominio": proprietà, possesso e detenzione. Mentre la prima è una situazione “formale” e, in quanto tale, garantisce al titolare i massimi poteri possibili rispetto ad una res, fermi restando i limiti che vedremo, le altre due rappresentano situazioni “materiali” e determinano l’attribuzione al soggetto attivo solo di taluni poteri. Prima di approfondire il contenuto e le forme di tutela del diritto di proprietà, è opportuno soffermarsi sulla nozione tecnica di “possesso”, tracciandone, in primis, i caratteri distintivi rispetto alla mera detenzione.I membri di questa Assemblea appartengono a nazioni e culture diverse: l’approccio alle due situazioni giuridiche di proprietà e possesso, può  essere diverso da nazione a nazione, con piccole o grandi sfumature che a volte si notano anche nella stessa nazione, in regioni differenti.A noi interessa affrontare queste due situazioni giuridiche come si presentano non all’interno di uno stesso stato ma nei rapporti all’interno della Congregazione, nei rapporti quindi tra Governo Generale, Governi di Circoscrizioni e Comunità.Per poter effettuare un approccio che ci riguarda da vicino, in quanto religiosi, dobbiamo fare astrazione dai significati impregnati e condizionati dalla propria  cultura.Ci viene naturalmente in aiuto il Codice di Diritto Canonico. I rapporti tra la Chiesa e il mondo esterno vengono principalmente regolati dal diritto di quella nazione ove tali rapporti nascono e dalle varie convenzioni, ove esistono es. Patti Lateranensi in Italia; ma i rapporti all’interno della Chiesa, anche se nascono in situazioni geografiche giuridicamente diverse, vengono regolati dal Codice di Diritto Canonico, che all’interno di una realtà di famiglia religiosa è l’unico referente concreto. Alle norme del CIC si aggiungeranno le normative del diritto proprio: costituzioni, norme, regolamenti, etc. In conclusione per approfondire il contenuto dei due termini, proprietà e possesso, riferiti ai rapporti tra persone giuridiche ecclesiastiche e beni temporali bisogna liberarsi dai significati che assumono nelle varie culture ed effettuare l’approccio esclusivamente con le fonti di diritto ecclesiale (CIC, Costituzioni, Norme, etc.).  Il possesso è il potere (o “signoria”) sulla cosa (per questo è la più importante delle situazioni “materiali”) che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale. A seconda dell’esistenza o meno di una giustificazione giuridica, il possesso si dice titolato o non titolato. Cosa distingue il possesso rispetto all’altra situazione materiale, la detenzione?Tale norma indica la possibilità di possedere anche in via indiretta, ossia “per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa”. Il principale carattere differenziale della detenzione è la mancanza nel titolare dell’elemento psicologico tipico del possesso, parlandosi, al contrario, di “animus detinendi”. Il detentore, infatti, non ha affatto la volontà di esercitare poteri sulla res a nome proprio, poiché la sua relazione con la cosa si fonda sempre sulla titolarità di un diritto personale di godimento (es. contratto di locazione) o su un'obbligazione (es. contratto di depositoNell’ordinamento giuridico italiano gli effetti del possesso sono disciplinati da ben venti articoli, in particolare dall’art. 1148 all’art. 1167 del codice civile, che compongono il secondo capo del titolo VIII (intitolato “Del possesso”), all’interno del libro II dedicato alla proprietà.Seguendo la suddivisione sistematica in paragrafi delineata del  codice italiano, gli effetti che scaturiscono dal verificarsi di tutti i presupposti che danno origine al possesso in senso proprio, possono raggrupparsi in tre categorie:·        i diritti e gli obblighi del possessore di restituire la cosa,·        gli effetti derivanti dall'acquisto in buona fede di un bene mobile (c. d. regola "possesso vale titolo" o “acquisto a non domino” ex artt. 1153 e ss. c.c.) e, infine,·        l'acquisto della proprietà per usucapione.  Come si accennava all’inizio, la proprietà è una situazione giuridica “formale” che garantisce al titolare il massimo grado i poteri sulla res oggetto del diritto stesso. Il proprietario ha diritto di godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, pur nel rispetto dei limiti stabiliti dall'ordinamento. In merito a quest’ultimi, si possono distinguere quelli posti nell’interesse privato (ad esempio le regole in tema di distanza tra le costruzioni) e quelli posti nell’interesse pubblico, in aderenza alla funzione sociale che l’art. 42, comma 2 della Costituzione riconosce alla proprietà (si pensi all’espropriazione per pubblico interesse). Per quanto concerne i poteri, autorevole dottrina distingue tra la c.d. “utilità diretta” e la c.d. “utilità di scambio”: la prima è costituita dal diritto del proprietario di godere della res, ossia di decidere se, come e quando utilizzare la cosa, tenendo conto dei vari tipi di vincoli che la legge impone, più o meno stringenti anche in base alla natura del bene (un immobile di notevole valore artistico situato in un centro storico, ad esempio, è soggetto a regole rigorose dettate dagli organismi pubblici competenti). L’utilità di scambio, invece, è rappresentata dal potere del proprietario di disporre della cosa, alienandola ovvero costituendo sulla stessa diritti limitati a favore di altri. In quest’ultimo caso, l'ampiezza del diritto di proprietà subisce una compressione che può arrivare fino a far denominare il titolare della stessa “nudo proprietario”, qualora venga costituito un diritto di usufrutto su quel bene. Riassumendo:Proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico. I limiti di un ordinamento giuridico di una determinata nazione possono cambiare notevolmente il contenuto di detto diritto fino a svuotarlo completamente. In alcuni ordinamenti (comunisti) questo diritto non viene riconosciuto nel settore privato. Possesso è una situazione di fatto che consiste nell'utilizzare una cosa e nel disporne, nei modi e con i poteri che la legge attribuisce ai titolari di diritti reali sulla cosa stessa. Secondo il can. 1254, il diritto della Chiesa circa i beni si esercita in quattro campi: acquisto, conservazione o possesso, di amministrazione e di alienazione. Con il potere di alienazione viene superata l’antica discussione su un eventuale divieto di alienare i beni della Chiesa. E’ questa una novità del testo. LA NOSTRA  NORMATIVA
 
Nel  linguaggio comune le parole possesso e proprietà sono usate come sinonimi, ma non è così, infatti vi è infatti, come già abbiamo sopra esaminato,  una sostanziale differenza giuridica: il possesso è l'esercizio di un potere sopra un bene di cui si può non essere titolari, mentre la proprietà è un  diritto  assai  più  vasto,  fa  si  che  il proprietario  può  disporre  pienamente  del  bene essendone  il  titolare,  come  alienare,  donare, lasciare   in   eredità,   tutti   atti   che   il possessore in quanto tale non può effettuare. Proprietario è colui che ha il pieno diritto di godere e di disporre della cosa a preferenza di chiunque altro, prescindendo se egli e abbia o non abbia attualmente il corrispondente esercizio di fatto. Possessore è invece colui che si trova di fatto nel godimento e nella disponibilità della cosa, prescindendo dalla considerazione se egli vi si trovi o meno anche di pieno diritto.. Proprietà indica una situazione giuridica “formale” che garantisce al titolare il massimo grado dei poteri sulla res oggetto del diritto stesso.Il proprietario è colui che ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. Il possesso consiste nel comportamento di chi, pur non essendo proprietario, si comporta, rispetto ad un bene, come se lo fosse.A questo punto occorre chiedersi: quali diritti reali ha una Comunità Religiosa nei confronti dei beni immobili che costituiscono il patrimonio della Casa? “Gli Istituti, le Province e le Case, come persone giuridiche, ipso jure, hanno la capacità di acquistare, di possedere, di amministrare e di alienare beni temporali, tranne che questa capacità sia esclusa o limitata dalle costituzioni. (CJC, can. 634) Una Casa Religiosa può quindi:a)      acquistareb)      possederec)      amministrared)      alienare.Il limite che impone il CJC riguarda la “capacità” che può essere esclusa o limitata dalle costituzioni.La nostra normativa prescrive che  gli atti di straordinaria amministrazione non sono di competenza del Superiore; egli pertanto per poter agire, dovrà, previo consenso del Consiglio Locale, munirsi dell’ autorizzazione scritta del Superiore Maggiore con il suo Consiglio.  (Norme art. 365) Se ne deduce che la competenza del Superiore di Casa e del suo Consiglio è limitata agli atti di ordinaria amministrazione.Per ciò che riguarda gli interventi sugli immobili, in modo particolare, è previsto che le modifiche di qualsiasi entità ai fabbricati sono da considerarsi atti di straordinaria amministrazione e quindi non di competenza del Superiore e del suo Consiglio. Si può quindi concludere che una Comunità Religiosa non può vantare nessun diritto reale nei confronti dei beni immobili dei quali gode solo il “possesso.In diritto si definisce “possesso” una situazione di fatto che consiste nell’utilizzare una “cosa” e nel disporne, nei modi e con i poteri che la legge attribuisce ai titolari di diritti reali sulla cosa stessa. Nel nostro caso, titolare dei diritti reali sui beni immobili di cui sopra è la Congregazione. La proprietà dei beni, sotto la suprema autorità del Romano Pontefice, appartiene alla persona giuridica che li ha legittimamente acquistati. (CIC, can. 1256).La Congregazione, attraverso i suoi organismi rappresentativi, esercita legittimamente ed in modo esclusivo, i diritti reali sui propri beni, anche se deve sempre tenere presente la suprema autorità del Romano Pontefice, che concretamente interviene quando, ad es. si propone di vendere un immobile il cui valore supera il limite fissato dalla Santa Sede.Il sentirsi “proprietari” più che “possessori” e quindi custodi dei beni affidati è un fenomeno psicologico che nella nostra Congregazione può avere avuto il suo inizio con l’istituzione delle Delegazioni e poi delle Province.L’atto costitutivo delle Province in Italia al n. 54 stabilisce che“Le Province prendono la proprietà dei beni immobili che le relative Case Religiose possiedono al momento.”Sono chiari i due concetti espressi: proprietà per la Provincia e possesso per le Case.La Provincia diventa proprietaria degli immobili e dei beni che erano in possesso delle Case.Da tenere presente che il diritto di Proprietà delle Province può essere esercitato nei limiti definiti dal Governo Generale. Attualmente Il Padre Generale ha deliberato il tetto massimo per gli atti di straordinaria amministrazione in € 250.000,00 per le Province (€ 100.000,00 per le Delegazioni).
Questo significa che gli amministratori provinciali quando pongono in essere atti economici sono sottoposti alla normativa degli atti ordinari se tale atto non supera il limite di 250.000,00 Euro.
Per questi atti non vi è quindi obbligo di chiedere l'autorizzazione a procedere alle autorità superiori (Padre Generale e Consiglio, Santa Sede).Chiaramente gli atti che superano questo limite devono obbligatoriamente, pena l'illiceità o la nullità dell'atto stesso e con le conseguenti responsabilità personali, essere autorizzati dal Padre Generale e dal suo Consiglio. Quando questo limite supera 1 milione di Euro, è necessaria l'autorizzazione della Santa Sede (Delibera CEI, 1999).   

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