Nel ricordo di P. Pantaleone Palma

Il Padre Pantaleone Palma occupa un posto particolare fra i primi collaboratori di sant'Annibale Maria Di Francia nella fondazione ed avvio delle Opere Rogazioniste ed Antoniane.

Nacque a Ceglie Messapica (Brindisi) il 15 aprile 1875 da Lorenzo e Maria Crocifissa Salonna. Fu battezzato due giorni dopo nella parrocchia di Maria Santissima Assunta.

Di indole vivace ma pia, si prestava volentieri ad aiutare il sagrestano nell'ordinare la chiesa; nei giorni festivi poi insegnava la dottrina cristiana ai ragazzi più piccoli di lui. Intelligente e volitivo, frequentò le scuole elementari con molto profitto, mentre nella sua anima sbocciava il germe della vocazione sacerdotale. Difatti nel 1887 entrò nel Seminario vescovile di Oria. Qui si distinse per le sue particolari doti di bontà, versatilità e disciplina, tanto da meritarsi la stima degli insegnanti e dei compagni, che gradivano l'amicizia di questo loro coetaneo intelligente, modesto, dai modi gentili.

Man mano che progrediva negli studi e nella virtù si manifestava in lui anche una grande compassione per i poveri e i diseredati.

Il 30 luglio 1899 il ventiquattrenne diacono Pantaleone, veniva ordinato sacerdote dal vescovo Mons. Teodosio Maria Gargiulo. Le immaginette che distribuì in quella ricorrenza recavano queste parole: "La mia felicità è di attaccarmi al mio Dio e riporre in Lui solo tutte le mie speranze".

Chiamato dal Vescovo a prestare la sua opera come Professore nel Seminario, seppe apprezzare la delicata missione di cooperare con l'insegnamento alla formazione dei futuri sacerdoti. Molti ricordano in lui un insegnante preciso, diligente, attento a collocare il suo insegnamento a partire dalla dimensione soprannaturale. Desideroso poi di approfondire gli studi letterari e filosofici, ottenne dal Vescovo di scriversi all'Università di Stato.

L'illustre Sacerdote Prof. Vincenzo Lilla di Francavilla Fontana (Brindisi), allora docente di Filosofia del Diritto all'Università di Messina, consigliò il giovane Don Pantaleone a frequentare quella Università.

Fu proprio attraverso il Prof. Lilla che Don Palma conobbe Padre Annibale Maria Di Francia. Fin dal primo incontro nacque nei due Sacerdoti un reciproco affetto: il Palma sentì una forte attrazione verso il Di Francia, verso la sua opera di carità e di redenzione, divenendo man mano un collaboratore fattivo.

Le difficoltà furono tante, sollevate sopratutto dall'intransigenza dei parenti e di Monsignor Gargiulo che non voleva concedergli l'escardinazione dalla Diocesi. La poté ottenere, infatti, solo nel 1903, quando il vescovo morì. Da quel momento Don Pantaleone condivise col Di Francia gli stenti, i dolori, le privazioni e le opposizioni per amore di tanti orfanelli e poveri. Egli si adoperò, assieme a Padre Annibale, ad organizzare i laboratori per gli orfani e le orfane, per educarli a vivere del loro lavoro, e ad apprendere una professione per il domani. Non si tirò indietro anche quando, nella estrema necessità, dovette mendicare il pane per gli assistiti e per i poveri.

Il terribile cataclisma del 28 dicembre 1908 che rase al suolo le città di Reggio e di Messina, fu una grande prova per le Opere del Di Francia. Padre Palma, in assenza del Padre Annibale che si trovava a Roma, seppe prodigarsi senza esitazioni fra le macerie ed incoraggiare, aiutare, benedire, dare il conforto dei sacramenti.

Con gli edifici distrutti, sembrava che tanto lavoro fosse svanito nel nulla, ma nell'estrema rovina si manifestò la Provvidenza. Il Vescovo di Oria, Monsignor Antonio Di Tommaso, offrì agli orfani del Di Francia asilo nelle cittadine di Oria e di Francavilla Fontana. Così il 29 gennaio 1909 i religiosi, gli orfani e le orfane partirono da Messina per quelle destinazioni.

Padre Palma, provenendo da quella Diocesi e conoscendo uomini e cose, si premurò a dare agli assistiti, con l’aiuto di Dio, una decorosa sistemazione.

Si può dire che l'apertura delle Case maschili e femminili di Francavilla Fontana e di Oria costituì la pedana di lancio per lo sviluppo di tutta l'Opera Rogazionista, ed ebbe tra gli artefici principali, sotto le direttive del Fondatore, proprio il Padre Palma.

A lui si deve, infatti, l'ottima organizzazione delle Segreterie Antoniane, mezzo fondamentale attraverso il quale, per l’intercessione di Sant’Antonio, è confluito abbondante il sostegno dei benefattori per lo sviluppo dell'Opera. A lui, poi, il Di Francia conferì gli incarichi più delicati, come curare i dovuti adempimenti nelle fondazione di nuovi Istituti, e trattare gli affari più importanti con le autorità e le ditte interessate.

Padre Palma seppe sempre sbrigare tali incarichi con una singolare competenza tecnica. Lo si trovava a Roma, a Corato, ad Altamura, a Montepulciano, a Trani ed in tante altre città per seguire la fondazione di diversi Istituti maschili e femminili, che devono le loro origini, al suo impegno ed alla sua lungimiranza.

Questo suo prodigarsi per impiantare le nuove opere, fra innumerevoli difficoltà, con dispendio di energie, stenti e sacrifici di vario genere, mise a dura prova la sua salute. Seguendo i passi di Padre Annibale, animato dal suo stesso zelo, per quanto gracile nel fisico, non conobbe tregua né riposo. Andò incontro a grandi privazioni, facendo suo il motto del Fondatore: Ad maximam consolationem Cordis Iesu.

Il 30 luglio 1924, 25° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, fu una data memorabile per il Padre Palma. Il Di Francia volle dare a questa ricorrenza una solennità del tutto particolare. E per manifestargli la sua stima ed il grande affetto organizzò a sua insaputa dei festeggiamenti che lasciarono un ricordo nella storia della Pia Opera.

La stima grande che il Canonico Di Francia nutriva per il Padre Palma si basava sulle sue virtù. In particolare spiccava in lui una profonda umiltà, che lo portava ad evitare ciò che potesse attirare l’attenzione, preferendo piuttosto rimanere nel nascondimento, il servizio generoso verso gli altri, piccoli e grandi, la semplicità del cuore, contrario ad ogni doppiezza, falsità, raggiro e fariseismo.

Per alcuni, che crebbero vicini a lui, è parso a volte burbero, di modi ruvidi, irascibile nelle correzioni. Questo modo di agire va messo in relazione alla sua salute scossa ed esaurita dalle continue sofferenze.

Riservato con se stesso e con gli altri sino allo scrupolo, anche se le esigenze dell'apostolato o degli uffici assegnatigli dal Di Francia lo costringevano a dover comunicare con persone di ogni ceto, dell'uno e dell'altro sesso, seppe custodire illibata la sua innocenza. Ed esigeva che tale riservatezza trasparisse ancora dalle parole e dagli atti dei suoi Confratelli.

Sua cura particolare era quella di mantenersi alla presenza di Dio, per mezzo della preghiera personale, delle giaculatorie e delle pratiche di pietà comunitarie. Era inesauribile in questo ovunque: nei viaggi in treno e in carrozza, come nel lavoro.

Ebbe dal Signore il dono delle lacrime e del discernimento degli spiriti, per cui mentre si commuoveva alla considerazione dei misteri della nostra redenzione, sapeva scorgere subito le anime ripiene di Dio, avvicinarle, discutere con loro della più alta e profonda ascesi cristiana, dirigerle per la via della perfezione.

La fiducia del Di Francia nei suoi confronti fu tale che, alla sua morte, lo nominò erede universale e amministratore generale di tutti gli Istituti maschili e femminili esistenti. La Congregazione dei Religiosi confermò tale scelta con un Decreto il 7 febbraio 1928.

Il ruolo avuto nell'elezione del nuovo governo delle Figlie del Divino Zelo e la sua posizione in merito spinsero a formulare contro di lui delle gravi accuse e infondate calunnie, per altro già manifestate ancora vivente il Di Francia e da questi verificate e smentite, che, trasformatesi in vere e proprie persecuzioni e deduzioni incriminanti, lo portarono davanti al Tribunale del Sant’Uffizio.

Il 22 luglio 1932 ricevette l’umiliazione della sospensione a divinis con la quale gli veniva interdetto di celebrare la santa Messa. Dal 13 agosto 1932 incominciò il soggiorno obbligato presso il Convento dei Passionisti della Scala Santa in Roma.

Il 19 luglio 1933 si ebbe la sentenza di condanna. Nell'ottobre successivo fece richiesta di revisione del processo, che fu subito respinta. Consigliato e spronato da coloro che credevano nella sua innocenza, nel maggio del 1935 richiese la possibilità di sottoporre al Papa un memoriale difensivo dettagliato, che ebbe esito favorevole.

Si adoperò sino alla fine per la verità e per il riconoscimento della sua innocenza. Si offrì vittima di amore e di perdono per la gloria di Dio, il bene delle anime, e per lo sviluppo dell'Opera Rogazionista.

Dal giorno 6 agosto 1935, revocata la sospensione a divinis, poté ricominciare a celebrare la santa Messa, segno di riconoscimento implicito della sua innocenza.

    Era in attesa della «revisione» del Processo, quando morì improvvisamente il 2 settembre 1935.

 

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